Milano, 20 Aprile 2021
Salgo di nuovo sul Bosco verticale, il lussuoso palazzo residenziale vanto cittadino celebre ovunque, invitato dalla Fondazione Catella, in una sera infrasettimanale di questa primavera inoltrata, che in momenti come questo sembra un po’ in sciopero.
Sono le 19 e 30 quando raggiungo il ventiseiesimo piano e sotto di me il tappeto urbano non smette di stupirmi: mi giro e scatto tra le nuove torri di una Milano futuribile che guarda oltre ed è avvolta da una luce pazzesca. La novità del momento è il Caprone Peroni, un enorme caprone in legno, un cavallo di Troia alternativo nell’immaginario di tutti, sostenibile essendo in legno. Punto la macchina fotografica su piazza Gae Aulenti e lo centro con l’obiettivo. L’installazione vuole lanciare diversi segnali sulla ripresa di Milano, in questa fashion week preludio del Salone autunnale, ma forse anche farmi tornare un po’ bambino. Lo sono sempre quando raccolgo i frutti della mia professione che mi vede adulto rincorrere e agguantare i sogni infantili di colori apocalittici e costruzioni sbalorditive. E il cielo oggi dà una grossa mano, mentre i grattacieli svettano e fanno a gara tra chi è più lungo, certe mode in effetti non passano mai, le nuvole inscenano una sfida tutta loro: quale esploderà per prima attraverso questo tetto, su un concentrato di palazzi usciti da un film di fantascienza? La contemporaneità qui è un cuore pulsante che parla di business tra Porta Nuova e City life. Il grattacielo Gioia 22 è una scheggia di vetro che si illumina per poi colorarsi di buio sovrastato dalla nube più incazzata e veloce.
Ed è pioggia.
Su di me, su Milano. Un temporale fragoroso dipinge il cielo color prugna e divora squarci di luce gialla mangiandosela in un attimo. Gocce enormi, sempre più fitte, bagnano l’orizzonte e io ne sono felice, quasi fiero, come se avessi avuto io il potere di evocare l’acquazzone, paradigma perfetto del tornare indietro nel tempo, quando la pioggia era solo una scusa per rifugiarsi negli androni, per fingere di essere sotto la doccia in strada, per giocare e non sentire il richiamo di chi non capiva quanto fosse magica.
E lo è ancora di più qui in alto, solo un cappellino per ripararmi e la mia narrazione fatta di frammenti lividi di una città che nulla può fermare.
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